Il filo rosso dei ricordi mi riporta indietro al 2004, quando insieme a Marzia, all'epoca volontaria espatriata in Russia, partimmo da Mosca alla volta di Ulaan Baatar (o Ulan Bator) in un rocambolesco viaggio in cui andarono perse le mie valige e alloggiammo in un hotel economico, ma non proprio raccomandabile. Eravamo sotto un cielo azzurro, che sembrava dipinto, un velo di ghiaccio e neve gelata ricopriva il terreno e la vista spaziava a perdita d'occhio in qualsiasi direzione, solo dopo qualche giorno capimmo il perché: non c'erano alberi ad ostacolarla, né tantomeno edifici.
Conoscevo la Mongolia dai racconti che mi avevano fatto alcune ragazze mongole che abitavano nella stanza di fronte alla mia, durante i 6 mesi in cui vissi a Mosca nel 1990. Ne ero rimasta letteralmente affascinata.
Persino Gengis Khan, che io preferisco chiamare con il suo nome mongolo che è Cingiz Khan e significa "sovrano universale", nei loro racconti perdeva la connotazione di sanguinario condottiero, per diventare un sovrano illuminato e padre della patria, le ragazze avevano addirittura una sua effigie appesa al muro. La leggenda dice che quando nacque Temujin — questo il suo nome vero, preso da quello di un fiero nemico ucciso in battaglia da suo padre — stringeva nel pugno un grumo di sangue, interpretato dallo sciamano come il segno di un grande uomo. La sua promessa sposa venne rapita dai nemici e quando i due si riunirono, lei era già incinta: il primogenito di Cingiz Khan fu dunque da lui adottato. Penso che questi tratti di forza, valore, orgoglio, compassione nei confronti dei vinti, rispetto per la vita e la natura si ritrovano ancora oggi nel popolo mongolo. Purtroppo in seguito al crollo dell'Unione Sovietica, nella cui orbita stava la Mongolia, il paese è sprofondato in una profonda crisi economica, con aumento dell'alcolismo e forte inurbamento che hanno portato anche ad un aumento dei problemi sociali, come l'abbandono minorile e il fenomeno dei bambini di strada che vivevano sotto terra all'interno della rete di riscaldamento cittadino. Conoscevamo questo fenomeno, ma mai ci saremmo aspettate di vederlo con i nostri occhi. Era novembre e c'erano più o meno 23 gradi sotto zero quando uscimmo a cenare e nel buio di una via io e Marzia rimanemmo sconvolte vedendo uscire un bambino da un tombino. In quella settimana incontrammo tante belle persone, sia locali che straniere impegnate a migliorare le condizioni dell'infanzia: i missionari della Consolata, i salesiani di don Bosco, le suore di madre Teresa di Calcutta, oltreché naturalmente le istituzioni.
Quella nostra missione servì a gettare le basi per la futura attività di adozione. Purtroppo da allora pochi bambini sono arrivati in Italia ed oggi le adozioni dalla Mongolia sono sospese. Recentemente ho avuto l'occasione di rincontrare Orgilbold, Badrakh, Barkhas, Ariunbold e gli altri con le loro famiglie. Sono tutti maschi, dai nomi strani, ma con profondi significati, nei cui tratti ho rivisto e intuito i nobili lineamenti del valoroso Khan.
PS Nel lungo viaggio aereo io e Marzia abbiamo parlato molto e ci siamo raccontate molte cose. Lei mi ha poi invitato a mettere per iscritto i miei racconti di viaggio…. Sono passati 17 anni, cara Marzia, ho timidamente iniziato con questo blog.
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