Il filo rosso dei ricordi mi riporta oggi alla mia prima missione all'estero, giugno 19 destinazione Romania.
Dati i miei studi, avevo già visitato moltissimi paesi dell'est europeo: ex Jugoslavia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Russia, Polonia e appunto Romania. Ci ero stata con Daniele, ancora prima della caduta del muro di Berlino e del dissolvimento dell'Unione Sovietica, quindi conoscevo già quel tipo di realtà, ma non mi ero mai interessata della questione infanzia e quando entrai per la prima volta in un orfanotrofio, ne fui letteralmente scioccata.
Era l'Istituto per bambini di Alexandria, come si legge sulla targa nella foto, non ho fotografie dell'interno.
I bambini nella fascia di età 1-3 anni erano ammassati in lettini di ferro arrugginito, in un unico stanzone, ce n'erano almeno un paio per letto. Erano tutti rasati cosicché si distinguevano a fatica i maschi dalle femmine, inoltre vi era appena stata un'ondata di varicella per cui molti avevano ancora delle macchie verdi sulla pelle, una sorta di "mercurocromo" applicato sui ponfi.
Nell'aria aleggiava un acre odore di pipì mischiato all'odore di candeggina, che con il caldo di giugno, rendeva insopportabile respirare.
I neonati si trovavano in un'altra stanza, uno per lettino, ricordo che era l'ora della poppata, quindi qualche bambino era in braccio alle Tate che dava loro il latte con il biberon. Gli altri avevano il biberon appoggiato ad una salvietta arrotolata vicino alla loro faccia, affinché rimanesse inclinato e loro potessero succhiare, ma se la tettarella scappava di bocca, non c'era qualcuno che prontamente sistemava il biberon e così il latte gocciolava sul materasso.
In un altro orfanotrofio, decisamente migliore del primo, i bambini erano in numero inferiore e i lettini erano di legno. Purtroppo però per la maggior parte del tempo essi stavano sdraiati a fissare un giochino o una giostrina appesa sul letto, cosicché la maggior parte di loro risultava avere uno sguardo strabico.
Ci tengo a precisare che in quel periodo la Romania era appena uscita dalla dittatura di Ceausescu, si stima che all'indomani della rivoluzione vi fossero quasi 100.000 bambini abbandonati, negli anni 1990-91 solo negli USA ne furono adottati più di 2500 e in Italia alcune centinaia.
Dopo quei primi anni di grande confusione, la Romania si dotò di leggi, fu tra i primi Stati di origine a ratificare la Convenzione dell'Aja sull'adozione del 1993 e nacquero alcune associazioni private, Onlus e ONG, impegnate con grande entusiasmo ed energia, a migliorare le condizioni dell'infanzia rumena. Una di queste è la Fondazione "Inima pentru inima", che significa cuore per cuore, la cui Presidente - Lidia Dobre - che all'epoca era nostra partner per l'adozione, così come prevedeva la legge, ancora oggi lavora con incessante dedizione nei confronti dei bambini.
Fortunatamente non esistono più istituti come quelli sopra descritti, non solo in Romania, ma neppure nella maggior parte del mondo, fatte salve le condizioni di vita usuali di ciascun paese, grazie al cielo è aumentata ovunque la consapevolezza che i bambini sono un bene prezioso e che i loro diritti vanno salvaguardati.
Oggi solo le coppie rumene o miste, residenti all'estero, possono adottare e come allora la maggior parte dei bambini adottabili proviene dalle minoranze rom e per questo sono doppiamente discriminati, perché a causa di ciò vengono spesso rifiutati dalle coppie adottive.
Io che ero arrivata a lavorare in Ai.Bi. con l'incarico di gettare le basi per operare in est Europa e nello specifico in Russia, mi sono ritrovata nel 1998 ad iniziare l'adozione in Romania, da dove sono giunti splendidi bambini, che oggi avranno ormai tra i 25 e i 30 anni e di cui ricordo molti dei loro nomi: Maria, Catalin, Floarea, Florin, Ionela, Alexandra, Ciprian, Dorin, Paul, Ionut, Luminita, Nicoleta…
Tra i tanti però almeno due risvegliano in me sensazioni particolari: un bambino si chiamava Tavi e ricordo che il papà, nel momento dell'abbinamento, disse: "il suo nome è l'anagramma della parola VITA, come si fa a non amarlo da subito!"
Una bambina, tra le prime adottate, si chiamava invece Lacramioara, un nome strano, mai sentito prima, che mi faceva pensare alla parola LACRIME, e io in quel viaggio ne avevo versate tantissime, pensando alla fortuna del mio piccolo Andrea a casa con il papà, rispetto a quei piccoli abbandonati in istituto. Poi però ho scoperto che quella parola significava "giglio" uno splendido puro fiore che era sbocciato tra le braccia dei suoi genitori adottivi.
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